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Quando, a partire dalla metà del 1800, il territorio della California del
Nord divenne la via più
famosa al mondo delle corse all’oro, migliaia di persone si "fiondarono" qui da tutto il mondo, attratte da
sogni di ricchezza.
Gli italiani non furono da meno.
Chi riuscì a racimolare qualche soldo per pagarsi la traversata oceanica a bordo di grandi navi
partì lasciando lavoro, affetti e famiglie. Erano gli anni della prima grande ondata
migratoria degli italiani verso le terre lontane d’America. Arrivarono soprattutto dalle regioni del nord,
Liguria, Lombardia e Veneto, avendo già dimestichezza con le "padelle"
(cioè batea ecc.) per aver fatto pratica setacciando i
fiumi di casa; ma pure dalla Toscana
alcuni coraggiosi tentarono la sorte.
Gli italiani si guadagnarono la fama di abili cercatori e, anche se per la maggior parte di loro la
ricchezza si rivelò un'illusione, l'insediamento di molte comunità italiane
segnò una svolta sociale nel territorio, contribuendo a scrivere la storia della
California a partire da quello storico evento.
Gente tosta i cercatori: cappello, guanti, stivali e la padella da tenere con due mani immersa
nell’acqua calma e ghiacciata. Gente con la testa dura.
Gente come Felice Pedroni, un montanaro abituato ai freddi e alla miseria, che nel
1881 partì per una lunga avventura. Via da Frignano di Fanano, via dai boschi
dell’Appennino e dalle castagne verso l’America, verso l’ignoto. Vent’anni di
miniere e di fattorie, poi la
corsa all’oro, il sogno di ogni minatore. Pedroni, che
nel frattempo per tutti era diventato Felix Pedro, si era ficcato in testa l’idea che non valesse la pena
andare nello Yukon e dal l885 cominciò a puntare,
prima in compagnia di altri disperati della frontiera e poi da solo, verso
l’Alaska, la terra di nessuno, il nulla inesplorato. Pedro aveva fiuto e lo trasmetteva
a quelli che erano con lui.
Iniziò con un torrente che dovette abbandonare perché arrivò l'inverno e che l'anno successivo
non ritrovò più. Poi la caccia disperata al "lost creek", inghiottito nel
nulla: malato, affamato, infreddolito, senza scarpe (si fece dei mocassini uccidendo un orso, svuotando
ed essiccando le sue zampe), con il cielo buio sei mesi all’anno, a 40-50 sotto zero, il 20 luglio 1902
trovò il "creek” inseguendo un alce. Nell’impronta del suo zoccolo aveva visto una pagliuzza gialla
brillare. Il Pedro Creek, così lo soprannominò, gli diede la ricchezza.
Fu uno dei più grandi giacimenti d’oro
del vecchio e lontano West, sul Tanana river. Insieme a un farabutto di nome
Barnette,
fondò addirittura la città di Fairbanks. Poi divise le concessioni con
gli amici, i fratelli della Costa di Treviso, e altri.
Ma il destino di Pedro correva verso altre mete.
Tornò in Italia nel 1904, si innamorò di una maestrina di Lizzano in Belvedere, Egle Zanetti
(P.S. la prozia di Pierferdinando Casini) e la sposò. Le chiese di seguirlo e lei prima gli disse di
sì, ma poi la famiglia la
convinse a non partire e Pedro tornò in Alaska da solo.
Qui si mise insieme alla proprietaria di una roadhouse di Dawson, una prostituta irlandese
senza scrupoli, Mary Ellen Doran, che lo dissanguò nel giro di cinque
anni e lo fece litigare con i soci. Pedro perse una miniera in tribunale e nel 1910
morì, non si sa bene come, all’ospedale di Fairbanks, la sua città. Aveva 52 anni.
Un giallo. Mary ereditò la concessione e da lì in poi non si seppe più nulla di lui.
Nel 1972 un notaio di Pavullo, Cortelloni, fece cercare la sua salma e la
riportò in Italia. La leggenda narra che gli venne trovato uno spillone piantato
fra la quarta e la quinta costola: il mistero resta.
Detto questo, in Alaska sono ancora là che spadellano e ogni 22 luglio lo
festeggiano: è il
Pedro day, con uno che si traveste da Pedroni, con il cappello, la vanga e il
setaccio. E ancora oggi nessuno ci ha capito niente
sulla fine di quel fananese con la testa dura. |
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Le testimonianze raccolte dai discendenti di
questi pionieri hanno anche dato vita a un museo virtuale internazionale, chiamato "Italians in the gold rush. Il viaggio nel Gold
Country". Il numero chiave è il 49 che, inteso come anno, segnò l’inizio della corsa
all’oro in California, tanto che i cercatori vennero
chiamati fortyniner. In Italia veniva subito dopo i moti
insurrezionali antiaustriaci e la prima guerra di indi
pendenza (1848-49); in America segnava la fine della guerra con il Messico per il possesso dei territori
sud-occidentali, fra cui la California, che venne proclamata repubblica e annessa ufficialmente agli Stati Uniti nel 1848.
Ma il 49 é anche il numero della storica 49
road, la strada principale che attraversa il territorio
del Gold Country da Nord a Sud-est, dalle montagne
della Sierra Valley fino a Mariposa, attraversando le
contee di Placer, Sierra Nevada, Eldorado, Sacramento, Amador, Calaveras.
Il viaggio esplorativo inizia proprio da qui: una
mappa del Gold Country, divisa in tre fasce, conduce alle località che sono state esplorate, visitando
musei, cimiteri, ranch e miniere, fotografando i luoghi come appaiono oggi, invitando i discendenti dei
pionieri a rispolverare le loro memorie e a tirare fuori vecchie foto e documenti. Troviamo cosi la storia
di Giuseppe “Joe" Murer, che iniziò la sua fortuna
come albergatore, o il ranch della famiglia Manzinali,
proveniente da Lucca, e la signora Carolyn Fregulia
Campbell, discendente di due famiglie italiane, che
dirige la miniera Kennedy, a Jackson e conduce ricerche sulla storia dei primi pionieri. Comunque
sia e al di là delle storiche vicende, Le
località attive al momento non sono molte (Auburn, Folsom,
Jackson), perché il lavoro di ricerca e ricostruzione
non é ancora terminato.
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E' Dawson, nel New Mexico, la testimonianza
tangibile dell’esistenza di questi pionieri italiani. Il
cimitero della cittadina fantasma, a 35 chilometri dal
confine col Colorado, raccoglie una serie di lapidi e
di croci segnate dalle intemperie, sulle quali ancora
oggi è possibile leggere dozzine di cognomi di
inequivocabile origine italiana: Antonelli, Bruno, Caldarelli,
Sarzanillo, Corazzi ecc.
Un tempo Dawson era abitata da una folta comunità italiana arrivata lì per lavorare nella
miniera di carbone. A riportare alla luce questa realtà é
stato un docente dell’università di Firenze, Alessandro Trojani, direttore del progetto multimediale "ltalians in the gold rush
and beyond" che da anni si
impegna nella ricerca degli italiani del far west americano, quelli che ci sono emigrati, ci hanno vissuto, lavorato e
infine ci sono morti.
L’iniziativa di cui sopra, co-finanziata dal ministero degli
affari esteri e dal consolato generale d'Italia a Los
Angeles per volontà del console Diego Brasioli, è
partita nel 1999 a opera di "View point’s Italia-California", al quale hanno aderito molti musei e
istituzioni italiane e americane. La ricostruzione storica del prof. Trojani è stata quella di riportare alla
luce la dimenticata emigrazione italiana negli stati
dell’ovest.
Dawson è stata una città mineraria sin dalla
sua nascita ai primi del 1900, in un posto lontano dal
mondo, con scuole, teatro, chiese, hotel e piscina.
Ma il 22 ottobre 1913 tutto cambiò: una grande esplosione provocò una tragedia. Solo 23 dei 286 minatori che quel giorno erano sottoterra a lavorare rividero la luce. Le vittime italiane furono 146. Per gravità
e perdite di vite umane tra gli emigrati italiani, la
sciagura è seconda solo allo scoppio della miniera di Monongah, in West Virginia, che il 6 dicembre 1907
causò 171 vittime. Ed è superiore persino a quella di Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto 1956,
morirono 136 italiani. Ma non bastò: un’altra esplosione
nel 1923 uccise altri 20 italiani. Nel 1950 la miniera
fu chiusa e per diretta conseguenza la città morì.
La memoria di quel disastro era ormai destinata a rimanere sepolta sotto cumuli di polvere e
macerie. Dopo aver perso tutti gli uomini adulti (furono contati undici nomi
di una sola famiglia/parentado nell’esplosione del l9l3), i congiunti si dispersero nel resto degli
states. Il che avrebbe potuto significare
l’oblio della tragedia.
Ma non tutti hanno dimenticato.
Alcuni discendenti delle vittime si ritrovano
ogni due anni al cimitero per una giornata in onore
dei loro antenati.
Ma Dawson non è che un tassello di una scoperta ben più ampia. Documenti inediti, dissotterrati
dal Trojani, (di cui si è già parlato sopra) gettano luce sul ruolo che
ebbero i piemontesi, i lombardi e i toscani del risorgimento
nella leggendaria "corsa all’oro" in California. Pionieri
che fondarono nel west quelle che oggi sono delle "ghost town" e miniere con nomi di eroi
risorgimentali. Mandavano i soldi in patria attraverso una rete
di contatti organizzata da società segrete. Questa sì che é storia. Storia da film. |
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Fabrizio Boschi
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